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Bolla di indizione del Giubileo: “Spes non confundit – Sanctuaire Sainte-Rita

1 “Spes non confundit”, “la speranza non delude” (Rm 5,5). Sotto il segno della speranza, l’apostolo Paolo stimola il coraggio della comunità cristiana di Roma. La speranza sarà anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che il Papa indirà ogni venticinque anni, secondo un’antica tradizione. Penso a tutti i pellegrini della speranza che arriveranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a coloro che, non potendo recarsi nella città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari. Che sia per tutti un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, “la “porta della salvezza (cfr. Gv 10:7, 9). Egli è “la nostra speranza (cfr. 1 Tim 1:1) ed è missione della Chiesa annunciarlo sempre, ovunque e a tutti.

Tutti sperano. La speranza è contenuta nel cuore di ogni persona come desiderio e aspettativa di bene, anche se non sappiamo cosa ci riserverà il domani. L’imprevedibilità del futuro dà origine a sentimenti talvolta contraddittori: dalla fiducia alla paura, dalla serenità allo scoraggiamento, dalla certezza al dubbio. Spesso incontriamo persone scoraggiate che guardano al futuro con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse dare loro la felicità. Che il Giubileo sia un’opportunità per tutti di riaccendere la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci guidare da ciò che l’apostolo Paolo scrisse ai cristiani di Roma.

  • Una parola di speranza

2. “Noi, che siamo stati resi giusti dalla fede, siamo in pace con Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, il quale, mediante la fede, ci ha dato accesso alla grazia in cui siamo stabiliti; e siamo fieri di sperare che parteciperemo alla gloria di Dio […] La speranza non delude, poiché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che ci è stato dato. [La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che ci è stato dato”. (Rm 5,1-2.5). Sono molti gli spunti di riflessione che San Paolo propone qui. Sappiamo che la Lettera ai Romani segna una tappa decisiva nella sua attività di evangelizzazione. Fino ad allora aveva evangelizzato nella parte orientale dell’Impero, ora Roma lo attende con tutto ciò che rappresenta agli occhi del mondo: una grande sfida per l’annuncio del Vangelo, che non può conoscere barriere o confini. La Chiesa di Roma non è stata fondata da Paolo. Egli sentiva il desiderio ardente di unirsi ad essa il prima possibile, per portare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, come annuncio della speranza che realizza le promesse, conduce alla gloria e, basandosi sull’amore, non delude.

3. La speranza, infatti, nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce: “Se infatti siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, quando eravamo suoi nemici, quanto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati partecipando alla sua vita? (Rm 5:10). E la sua vita si manifesta nella nostra vita di fede, che inizia con il battesimo, si sviluppa nella docilità alla grazia di Dio ed è di conseguenza animata da una speranza sempre rinnovata e resa incrollabile dall’azione dello Spirito Santo.

È infatti lo Spirito Santo che, con la sua costante presenza sul cammino della Chiesa, irradia la luce della speranza sui credenti: La tiene accesa come una torcia che non si spegne mai, dando sostegno e forza alla nostra vita. La speranza cristiana non inganna né delude, perché si fonda sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio: “Che cosa può separarci dall’amore di Cristo? L’angoscia, la sofferenza, la persecuzione, la fame, la miseria, il pericolo, la spada? […] Ma in tutte queste cose noi siamo i grandi vincitori, grazie a colui che ci ha amati. Di questo sono certo: né la morte né la vita, né gli angeli né i principati del cielo, né il presente né il futuro, né le potenze né le altezze né le profondità, né alcuna altra creatura, nulla potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore”. ( Rm 8, 35.37-39). Ecco perché la speranza non cede di fronte alle difficoltà: è fondata sulla fede e alimentata dalla carità. Ci permette di andare avanti nella vita. Sant’Agostino scrive a questo proposito: “Qualunque sia il tipo di vita che conduciamo, non possiamo vivere senza queste tre inclinazioni dell’anima: credere, sperare, amare”.. [Discorso, 198 augm, 2].

4. San Paolo è molto realista. Sa che la vita è fatta di gioie e dolori, che l’amore viene messo alla prova quando le difficoltà aumentano e che la speranza sembra scomparire di fronte alla sofferenza. Eppure scrive: “Siamo orgogliosi dell’afflizione stessa, poiché sappiamo che l’afflizione produce perseveranza; la perseveranza produce virtù provata; la virtù provata produce speranza”. (Rm 5:3-4). Per l’apostolo, la tribolazione e la sofferenza sono condizioni tipiche di chi annuncia il Vangelo in contesti di incomprensione e persecuzione (cfr. 2 Cor 6:3-10). In queste situazioni vediamo una luce nelle tenebre. Scopriamo come l’evangelizzazione sia sostenuta dalla forza che scaturisce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo. Questo ci porta a sviluppare una virtù strettamente legata alla speranza: la pazienza. In un mondo in cui la fretta è diventata una costante, ci siamo abituati a volere tutto e subito. Non abbiamo più tempo per incontrarci e spesso, anche in famiglia, diventa difficile riunirsi e parlare con calma. La pazienza viene minata dalla fretta, causando gravi danni agli individui. Nascono intolleranza, nervosismo e talvolta violenza gratuita, che portano all’insoddisfazione e alla chiusura.

Inoltre, nell’era di internet, dove lo spazio e il tempo sono dominati dal “qui e ora”, la pazienza non è ben accetta. Se fossimo ancora capaci di guardare il creato con meraviglia, potremmo capire quanto sia decisiva la pazienza. Aspettare che le stagioni si alternino con i loro frutti; osservare la vita degli animali e i cicli del loro sviluppo; avere lo sguardo semplice di San Francesco che, nel suo Cantico delle Creature composto esattamente 800 anni fa, percepiva la creazione come una grande famiglia e chiamava il sole “fratello e la luna “sorella”. [Riscoprire la pazienza fa molto bene a noi e agli altri. San Paolo utilizza spesso la pazienza per sottolineare l’importanza della perseveranza e della fiducia in ciò che Dio ci ha promesso, ma soprattutto testimonia che Dio è paziente con noi, Lui che è “il Dio della perseveranza e della consolazione”. ( Rm 15:5). La pazienza, che è anche un frutto dello Spirito Santo, mantiene viva la speranza e la consolida come virtù e stile di vita. Impariamo quindi a chiedere spesso la grazia della pazienza, che è figlia della speranza e allo stesso tempo la sostiene.

  • Un percorso di speranza

5. Questo intreccio tra speranza e pazienza mostra chiaramente che la vita cristiana è un cammino che ha bisogno di momenti forti per alimentare e rafforzare la speranza, la compagna insostituibile che ci fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù. Mi piace pensare che l’inaugurazione del primo Giubileo nel 1300 sia stata preceduta da un cammino di grazia, animato dalla spiritualità popolare. Non possiamo infatti dimenticare i vari modi in cui la grazia del perdono è stata abbondantemente riversata sul popolo santo e fedele di Dio. Ricordiamo, ad esempio, il grande “perdono” che San Celestino V volle concedere a coloro che si recarono alla Basilica di Santa Maria de Collemaggio, a L’Aquila, il 28 e 29 agosto 1294, sei anni prima che Papa Bonifacio VIII istituisse l’Anno Santo. La Chiesa stava già vivendo la grazia giubilare della misericordia. Ancora prima, nel 1216, Papa Onorio III aveva accolto la petizione di San Francesco che chiedeva l’indulgenza per chi avesse visitato la Porziuncola nei primi due giorni di agosto. Lo stesso vale per il pellegrinaggio a Santiago de Compostela: Papa Callisto II, nel 1122, permise di celebrare il Giubileo in questo santuario ogni volta che la festa dell’Apostolo Giacomo coincideva con una domenica. È un bene che questo modo “diffuso” di celebrare i Giubilei continui, affinché la forza del perdono di Dio possa sostenere e accompagnare il cammino delle comunità e dei singoli.

“Intraprendere un viaggio è caratteristico di coloro che alla ricerca del significato della vita”.

Non è un caso che il pellegrinaggio sia un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in viaggio è tipico di chi è alla ricerca del senso della vita. I pellegrinaggi a piedi sono un ottimo modo per riscoprire il valore del silenzio, della fatica, dell’essenziale. Anche il prossimo anno, i pellegrini della speranza non mancheranno di percorrere itinerari antichi e moderni per vivere intensamente l’esperienza del Giubileo. Anche a Roma ci saranno itinerari di fede, oltre a quelli tradizionali delle catacombe e delle sette chiese. Viaggiare da un paese all’altro come se le frontiere fossero state abolite, spostarsi da una città all’altra nella contemplazione del creato e delle opere d’arte, ci permetterà di beneficiare di esperienze e culture diverse per portare dentro di noi la bellezza che, armonizzata dalla preghiera, ci porta a ringraziare Dio per le meraviglie che ha compiuto. Le chiese giubilari lungo i percorsi e nelle Urbe saranno oasi di spiritualità dove rinfrescarsi nel cammino di fede e abbeverarsi alle sorgenti di speranza, soprattutto accostandosi al sacramento della riconciliazione, punto di partenza insostituibile per un autentico cammino di conversione. Nelle Chiese particolari si presterà particolare attenzione alla preparazione dei sacerdoti e dei fedeli alla confessione e alla messa a disposizione del sacramento a livello individuale.

Durante questo pellegrinaggio, vorrei rivolgere un invito speciale ai fedeli delle Chiese orientali, specialmente a quelli che sono già in piena comunione con il Successore di Pietro. Hanno sofferto tanto – spesso fino alla morte – per la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa e dovrebbero sentirsi particolarmente benvenuti a Roma, che è anche la loro Madre e che conserva molti ricordi della loro presenza. La Chiesa cattolica, arricchita dalle loro antiche liturgie e dalla teologia e spiritualità dei Padri, dei monaci e dei teologi, desidera esprimere simbolicamente il suo benvenuto a loro e ai suoi fratelli e sorelle ortodossi, in un momento in cui stanno già vivendo il pellegrinaggio della Via Crucis, che spesso li costringe a lasciare le loro terre d’origine, le loro terre sante da cui sono stati cacciati dalla violenza e dall’instabilità verso paesi più sicuri. Per loro, l’esperienza di essere amati dalla Chiesa, che non li abbandonerà ma li seguirà ovunque vadano, rende il segno del Giubileo ancora più forte.

6. L’Anno Santo 2025 è una continuazione dei precedenti eventi di grazia. Durante l’ultimo Giubileo ordinario è stata varcata la soglia del secondo millennio della nascita di Gesù Cristo. Poi, il 13 marzo 2015, ho indetto un Giubileo straordinario con l’obiettivo di mostrare e far incontrare a tutti il “volto della misericordia”. Il “volto della misericordia di Dio, [ Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, nn. 1-3. È l’annuncio centrale del Vangelo per ogni persona in ogni epoca. È giunto il momento di un nuovo Giubileo, durante il quale la Porta Santa sarà nuovamente spalancata per offrire l’esperienza viva dell’amore di Dio, che risveglia nel cuore la speranza certa della salvezza in Cristo. Allo stesso tempo, questo Anno Santo ci guiderà verso un altro anniversario fondamentale per tutti i cristiani. Nel 2033, infatti, celebreremo i duemila anni della Redenzione compiuta dalla passione, morte e resurrezione del Signore Gesù. Si tratta di un cammino segnato da grandi tappe in cui la grazia di Dio precede e accompagna il popolo che cammina con zelo nella fede, opera nella carità e persevera nella speranza (cfr. 1 Tess 1,3).

Forte di questa lunga tradizione e convinto che questo Anno Giubilare sarà un’intensa esperienza di grazia e di speranza per tutta la Chiesa, ho deciso che la Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano sarà aperta il 24 dicembre 2024, segnando l’inizio del Giubileo Ordinario. La domenica successiva, il 29 dicembre 2024, aprirò la Porta Santa della mia Cattedrale di San Giovanni in Laterano, che il 9 novembre dello stesso anno celebrerà il 1700° anniversario della sua dedicazione. Poi, il 1° gennaio 2025, nella Solennità di Maria Madre di Dio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore. Infine, domenica 5 gennaio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura. Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse entro domenica 28 dicembre dello stesso anno.

Inoltre, stabilisco che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e le concattedrali, i vescovi diocesani celebreranno la Santa Eucaristia per la solenne apertura dell’Anno Giubilare, secondo il Rituale che sarà preparato per l’occasione. Per la celebrazione nella chiesa concattedrale, il vescovo può essere sostituito da un delegato appositamente nominato. Un pellegrinaggio da una chiesa scelta per la collectio alla cattedrale sarà un segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola di Dio, avvicina i credenti. Durante questo pellegrinaggio verranno letti brani del presente documento e verrà annunciata al popolo l’indulgenza giubilare, indulgenza che potrà essere ottenuta secondo le prescrizioni contenute nello stesso Rituale per la celebrazione del Giubileo nelle Chiese particolari. Durante l’Anno Santo, che si concluderà domenica 28 dicembre 2025 nelle Chiese particolari, si farà in modo che il Popolo di Dio accolga con piena partecipazione sia l’annuncio della speranza della grazia di Dio che i segni che ne testimoniano l’efficacia.

Il Giubileo Ordinario si concluderà con la chiusura della Porta Santa della Basilica Papale di San Pietro il 6 gennaio 2026, Epifania del Signore. Che la luce della speranza cristiana raggiunga tutti come messaggio d’amore di Dio rivolto a tutti! Che la Chiesa sia testimone fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo!

  • Segni di speranza

7. Oltre a trarre speranza dalla grazia di Dio, siamo anche chiamati a riscoprirla nei segni dei tempi che il Signore ci offre. Come afferma il Concilio Vaticano II, “La Chiesa ha il dovere, in ogni tempo, di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, per poter rispondere, in modo adeguato a ciascuna generazione, alle eterne domande degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche”. [ Past. Cost. Gaudium et spes, n. 4. Dobbiamo quindi prestare attenzione a tutto il bene presente nel mondo, per non cadere nella tentazione di considerarci sopraffatti dal male e dalla violenza. Ma i segni dei tempi, che contengono l’anelito del cuore umano bisognoso della presenza salvifica di Dio, devono essere trasformati in segni di speranza.

8. Il primo segno di speranza deve essere la pace per un mondo immerso, ancora una volta, nella tragedia della guerra. Dimenticando le tragedie del passato, l’umanità è stata sottoposta a una nuova e difficile prova, con molte popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza. Cosa non hanno sopportato questi popoli? Com’è possibile che il loro disperato grido di aiuto non spinga i leader delle nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che potrebbero derivarne a livello globale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare morte e distruzione? Il Giubileo dovrebbe ricordarci che coloro che si rendono “costruttori di pace “possono essere “chiamati figli di Dio” (Mt 5:9). (Mt 5:9) La richiesta di pace chiama in causa tutti e ci impone di portare avanti progetti concreti. La diplomazia deve continuare a impegnarsi per creare, con coraggio e creatività, spazi di negoziazione finalizzati a una pace duratura.

9. Guardare al futuro con speranza significa anche avere una visione della vita piena di entusiasmo da trasmettere. Purtroppo dobbiamo ammettere con tristezza che in molte situazioni questa visione viene a mancare. La prima conseguenza è la perdita del desiderio di trasmettere la vita: a causa di stili di vita frenetici, paure per il futuro, mancanza di garanzie professionali e di un’adeguata protezione sociale e modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la ricerca del profitto piuttosto che la cura delle relazioni, stiamo assistendo a un preoccupante calo del tasso di natalità in diversi Paesi. Al contrario, in altri contesti, “dare la colpa alla crescita demografica piuttosto che al consumismo estremo e selettivo di alcune persone è un modo per evitare di affrontare i problemi”. [ Lett. enc. Laudato si’, n. 50. ]

L’apertura alla vita con una maternità e una paternità responsabili è il progetto che il Creatore ha iscritto nel cuore e nel corpo degli uomini e delle donne, una missione che il Signore affida agli sposi e al loro amore. È urgente che, oltre all’impegno legislativo degli Stati, vi sia il sostegno convinto delle comunità credenti e della comunità civile in tutte le sue componenti, perché il desiderio dei giovani di generare nuovi figli come frutto della fecondità del loro amore dà futuro a ogni società. Questo desiderio è una questione di speranza, poiché dipende dalla speranza e produce speranza.

La comunità cristiana deve essere la prima a sostenere un’alleanza sociale per la speranza che sia inclusiva e non ideologica, e che lavori per un futuro segnato dal sorriso di tanti bambini che verranno a riempire troppe culle vuote in molte parti del mondo. Ma in realtà, tutti hanno bisogno di riscoprire la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1:26), non può accontentarsi di sopravvivere o di vivere, di conformarsi al presente lasciandosi appagare da realtà puramente materiali. Questo porta all’individualismo ed erode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore e lo rende amaro e intollerante.

10. Durante l’Anno Giubilare, saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per molti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privati della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, un vuoto emotivo, le restrizioni imposte e, in molti casi, la mancanza di rispetto. Durante questo Anno Giubilare, propongo ai governi di intraprendere iniziative che restituiscano la speranza; forme di amnistia o di condono della pena che aiutino le persone a ritrovare fiducia in se stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità che si accompagnino a un impegno concreto per il rispetto della legge.

L’appello ad atti di clemenza e di liberazione che ci permettano di ricominciare è un appello antico che proviene dalla Parola di Dio e che perdura con tutto il suo valore sapienziale: “Dichiarerai sacro questo cinquantesimo anno e proclamerai la libertà per tutti gli abitanti del paese”. (Lev 25:10). La Legge mosaica viene ripresa dal profeta Isaia: “Il Signore mi ha mandato a portare una buona notizia agli umili, a guarire chi ha il cuore spezzato, a proclamare la liberazione ai prigionieri e la libertà ai carcerati, a proclamare un anno di benedizioni del Signore” (Is 61, 1-2). ( Is 61, 1-2). Queste sono le parole che Gesù fece sue all’inizio del suo ministero, quando dichiarò che l'”anno di grazia del Signore” si sarebbe compiuto in lui stesso. “L’anno di grazia del Signore (In tutto il mondo i credenti, e in particolare i pastori, devono farsi interpreti di queste richieste, parlando con una sola voce per chiedere con coraggio condizioni dignitose per i detenuti, il rispetto dei diritti umani e soprattutto l’abolizione della pena di morte, una misura contraria alla fede cristiana che distrugge ogni speranza di perdono e rinnovamento. [ Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2267. ]. Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, voglio aprire io stesso una Porta Santa in un carcere, affinché possa essere un simbolo per loro, invitandoli a guardare al futuro con speranza e un nuovo impegno di vita.

11. Bisogna offrire segni di speranza ai malati, sia a casa che in ospedale. La loro sofferenza deve trovare sollievo nella vicinanza delle persone che li visitano e nell’affetto che ricevono. Le opere di misericordia sono anche opere di speranza che risvegliano sentimenti di gratitudine nel cuore delle persone. E che questa gratitudine possa raggiungere tutti gli operatori sanitari che, in condizioni spesso difficili, svolgono la loro missione con un’attenta cura dei malati e dei più vulnerabili.

Che ci sia un’assistenza inclusiva per coloro che, trovandosi in condizioni di vita particolarmente difficili, sperimentano la loro debolezza, soprattutto se soffrono di patologie o disabilità che limitano fortemente la loro autonomia personale. Prendersi cura di loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede un’azione armoniosa da parte di tutta la società.

12. Anche coloro che, nella loro stessa persona, rappresentano la speranza hanno bisogno di segni di speranza: i giovani. Purtroppo, spesso vedono i loro sogni infrangersi. Non possiamo deluderli: il futuro dipende dal loro entusiasmo. È bello vederli pieni di energia, ad esempio quando si rimboccano le maniche e si impegnano volontariamente in situazioni di calamità e disordini sociali, ma è triste vedere i giovani senza speranza. Quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando gli studi non offrono sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un impiego sufficientemente stabile minaccia di annientare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia.L’illusione della droga, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano, in loro più che in altri, confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in oscuri abissi e spingendoli a compiere atti autodistruttivi. Ecco perché il Giubileo deve essere l’occasione per la Chiesa di dare loro una spinta. Con rinnovata passione, prendiamoci cura dei giovani, degli studenti, delle coppie di fidanzati, delle nuove generazioni! Vicinanza ai giovani, gioia e speranza per la Chiesa e per il mondo!

13. Devono esserci segnali di speranza per i migranti che abbandonano la loro patria in cerca di una vita migliore per sé e per le loro famiglie. Che le loro aspettative non vengano deluse dal pregiudizio e dalla chiusura mentale; che l’accoglienza, che apre le braccia a tutti per la loro dignità, sia accompagnata dall’impegno a far sì che nessuno venga privato del diritto di costruirsi un futuro migliore. Molti esiliati, sfollati e rifugiati sono costretti a fuggire da eventi internazionali controversi per evitare guerre, violenze e discriminazioni. È necessario garantire loro la sicurezza e l’accesso al lavoro e all’istruzione, necessari per la loro integrazione nel nuovo contesto sociale.

La comunità cristiana deve essere sempre pronta a difendere i diritti dei più deboli. Che spalanchi le porte dell’accoglienza con generosità, affinché nessuno sia mai privo della speranza di una vita migliore. Che la Parola del Signore risuoni nei nostri cuori, come ha detto nella grande parabola del Giudizio Universale: “Ero straniero e mi avete accolto”.per “Come avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, così l’avete fatto a me”. (Mt 25:35, 40).

14. Gli anziani meritano segni di speranza, poiché spesso vivono la solitudine e il senso di abbandono. Valorizzare il loro tesoro, la loro esperienza di vita, la loro saggezza e il contributo che sono in grado di dare è un impegno per la comunità cristiana e per la società civile, che sono chiamate a lavorare insieme per costruire ponti tra le generazioni.

Il mio pensiero speciale va ai nonni e alle nonne che rappresentano la trasmissione della fede e della saggezza della vita alle nuove generazioni. Devono essere sostenuti dalla gratitudine dei loro figli e dall’amore dei loro nipoti, che trovano in loro radici, comprensione e incoraggiamento.

15. Invoco con urgenza la speranza per i miliardi di poveri che spesso non hanno il necessario per vivere. Di fronte al susseguirsi di nuove ondate di impoverimento, c’è il rischio di abituarsi e rassegnarsi. Ma non possiamo distogliere lo sguardo dalle situazioni drammatiche che incontriamo ormai ovunque, non solo in alcune regioni del mondo. Ogni giorno incontriamo persone povere o impoverite, che a volte possono essere i nostri vicini di casa. Spesso non hanno un posto dove vivere e non hanno cibo sufficiente da mangiare ogni giorno. Soffrono per l’esclusione e l’indifferenza di molti. È scandaloso che, in un mondo con enormi risorse in gran parte destinate agli armamenti, i poveri costituiscano “la maggioranza […] della popolazione mondiale”. “La maggioranza […], migliaia di milioni di persone. Oggi sono presenti nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma spesso sembra che i loro problemi si presentino come un’appendice, come una questione che viene aggiunta quasi per obbligo o marginalmente, quando non vengono considerati come puri danni collaterali. Infatti, quando si tratta di azioni concrete, sono spesso relegati all’ultimo posto”. [ Inc. Laudato si’, 49. … Non dimentichiamo che i poveri sono quasi sempre vittime, non carnefici.

“In virtù della speranza in cui siamo stati salvati,

siamo certi che la storia dell’umanità,

e quella di ogni individuo, non si sta dirigendo verso un vicolo cieco

o un oscuro abisso, ma che è diretto verso l’incontro

con il Signore della gloria”.

17. Il prossimo Giubileo segnerà un anniversario molto importante per tutti i cristiani. Saranno 1700 anni dalla celebrazione del primo grande concilio ecumenico, il Concilio di Nicea. Vale la pena ricordare che, fin dai tempi apostolici, i pastori si sono riuniti più volte in assemblea per affrontare questioni dottrinali e disciplinari. Nei primi secoli della fede, i sinodi si moltiplicarono sia in Oriente che in Occidente, dimostrando l’importanza di preservare l’unità del popolo di Dio e la fedeltà all’annuncio del Vangelo. L’Anno Giubilare potrebbe essere un’importante occasione per dare concretezza a questa forma sinodale, che la comunità cristiana vede oggi come un’espressione sempre più necessaria dell’urgenza dell’evangelizzazione: tutti i battezzati, ciascuno con il proprio carisma e ministero, corresponsabili affinché molteplici segni di speranza testimonino la presenza di Dio nel mondo.

La missione del Concilio di Nicea era quella di preservare l’unità seriamente minacciata dalla negazione della divinità di Gesù Cristo e della sua uguaglianza con il Padre. Erano presenti circa trecento vescovi, riuniti nel palazzo imperiale, convocati dall’imperatore Costantino il 20 maggio 325. Dopo vari dibattiti, tutti concordarono, per grazia dello Spirito, sul Simbolo di fede che ancora oggi professiamo nella celebrazione domenicale dell’Eucaristia. I padri del Concilio vollero iniziare questo Simbolo usando per la prima volta l’espressione “Noi crediamo”. Noi crediamo, [ Simbolo niceno: H. Denzinger – A. Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, n. 125. … per testimoniare che in questo “Noi”, tutte le Chiese erano in comunione e che tutti i cristiani professavano la stessa fede.

Il Concilio di Nicea è una pietra miliare nella storia della Chiesa. Il suo anniversario invita i cristiani a unirsi nella lode e nel ringraziamento alla Santa Trinità e in particolare a Gesù Cristo, il Figlio di Dio, “consustanziale al Padre[Ibidem . che ci ha rivelato questo mistero d’amore. Ma Nicea rappresenta anche un invito a tutte le Chiese e comunità ecclesiali a continuare il cammino verso l’unità visibile, a non stancarsi mai di cercare le forme adeguate per rispondere pienamente alla preghiera di Gesù: “Perché tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me e io in te. E siano anch’essi una cosa sola in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).

Il Concilio di Nicea discusse anche la data della Pasqua. Ancora oggi, ci sono posizioni divergenti che impediscono di celebrare l’evento fondante della fede nello stesso giorno. Per una combinazione di circostanze provvidenziali, questo accadrà nel 2025. Questo dovrebbe essere un richiamo per tutti i cristiani d’Oriente e d’Occidente a fare un passo decisivo verso l’unità intorno a una data comune di Pasqua. Molti, è bene ricordarlo, non conoscono più le controversie del passato e non capiscono come possano persistere le divisioni su questo argomento.

  • Inviti alla speranza

16. Facendo eco alle antiche parole dei profeti, il Giubileo ci ricorda che i beni della terra non sono per pochi privilegiati, ma per tutti. Coloro che possiedono la ricchezza devono essere generosi nel riconoscere i volti dei loro fratelli e sorelle in difficoltà. Penso in particolare a coloro che non hanno acqua e cibo: la fame è una ferita scandalosa nel corpo della nostra umanità e chiede a tutti di risvegliare la propria coscienza. Rinnovo il mio appello affinché“con le risorse finanziarie destinate agli armamenti e ad altre spese militari, venga istituito un Fondo Mondiale per sradicare la fame una volta per tutte e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, affinché i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non debbano lasciare i loro Paesi alla ricerca di una vita più dignitosa”. “. [ Inc. Fratelli tutti, 262. ]

Vorrei rivolgere un altro invito urgente in vista dell’Anno Giubilare: è rivolto alle nazioni più ricche affinché riconoscano la gravità di molte delle decisioni che hanno preso e decidano di condonare i debiti di paesi che non saranno mai in grado di ripagarli. È una questione di giustizia più che di magnanimità, aggravata oggi da una nuova forma di iniquità di cui siamo venuti a conoscenza: “Esiste infatti un vero e proprio “debito ecologico”, in particolare tra Nord e Sud, legato agli squilibri commerciali, con conseguenze in ambito ecologico, e legato anche all’uso sproporzionato delle risorse naturali, storicamente praticato da alcuni paesi.”. [ Inc. Laudato si’, 51. Come insegna la Sacra Scrittura, la terra appartiene a Dio e tutti noi viviamo su di essa come ospiti e stranieri (cfr. Lev 25:23). Se vogliamo davvero aprire la strada alla pace nel mondo, impegniamoci a rimediare alle cause profonde dell’ingiustizia, paghiamo i debiti ingiusti e insolventi e diamo da mangiare agli affamati.

“Un anniversario molto importante per tutti i cristiani

cadrà durante il prossimo Giubileo”.

  • Ancorati alla speranza

18. Insieme alla fede e alla carità, la speranza forma il trittico delle “virtù teologali” che esprimono l’essenza della vita cristiana (cfr. 1 Cor 13,13; 1 Tess 1,3). Nel loro dinamismo inscindibile, la speranza è quella che, per così dire, orienta, indica la direzione e la meta dell’esistenza del credente. È per questo che l’apostolo Paolo ci invita: “Rallegratevi nella speranza, state saldi nella prova, siate diligenti nella preghiera” (Romani 12:12). Sì, dobbiamo “traboccare di speranza”. (cfr. Rm 15,13) per dare una testimonianza credibile e attraente della fede e dell’amore che abbiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno di noi possa donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, questo può diventare un seme fecondo di speranza per chi lo riceve. Ma qual è il fondamento della nostra speranza? Per capirlo, dobbiamo guardare alle ragioni della nostra speranza (cfr. 1 Pt 3:15).

19. “Credo nella vita eterna : [Simbolo degli Apostoli: H. Denzinger – A. Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, n. 30. … così professa la nostra fede. La speranza cristiana trova in queste parole un pilastro fondamentale. È infatti “la virtù teologale con cui desideriamo come felicità […] la Vita eterna”. [Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1817. ] Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma : “Quando mancano il sostegno divino e la speranza della vita eterna, la dignità dell’uomo subisce una ferita molto grave, come spesso vediamo oggi, e l’enigma della vita e della morte, della colpa e della sofferenza, rimane irrisolto. E così, troppo spesso, le persone sprofondano nella disperazione “. [Cost.
passato. Gaudium et spes, n. 21.
Noi, invece, in virtù della speranza in cui siamo stati salvati, guardando lo scorrere del tempo, siamo certi che la storia dell’umanità, e di ogni singolo individuo, non va verso un vicolo cieco o un abisso oscuro, ma verso l’incontro con il Signore della gloria. Viviamo quindi nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui. È in questo spirito che facciamo nostra la commovente invocazione dei primi cristiani, con cui si conclude la Sacra Scrittura: “Vieni, Signore Gesù! (Ap 22, 20).

20. Gesù morto e risorto è il cuore della nostra fede. San Paolo, esponendo questo contenuto in poche parole – con soli quattro verbi – ci trasmette il “cuore” della nostra speranza: “Prima di tutto vi ho trasmesso ciò che io stesso ho ricevuto: Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e fu deposto nel sepolcro; risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Pietro e poi ai Dodici”. ( 1 Cor 15, 3-5). Cristo morì, fu sepolto, risuscitò e apparve. Ha vissuto il dramma della morte per noi. L’amore del Padre lo ha risuscitato nella potenza dello Spirito, facendo della sua umanità la primizia dell’eternità per la nostra salvezza. La speranza cristiana consiste proprio in questo: di fronte alla morte, dove tutto sembra finire, riceviamo la certezza che, grazie a Cristo, per la sua grazia comunicataci nel Battesimo, “la vita non è distrutta”, “la vita non viene distrutta, ma trasformata”.[Messale Romano
, Prefazio dei defunti I.
per sempre. Nel Battesimo, sepolti con Cristo, riceviamo in Lui, risorto dai morti, il dono di una nuova vita che abbatte il muro della morte e lo rende un passaggio verso l’eternità.

E se di fronte alla morte, separazione dolorosa che ci costringe a lasciare gli affetti più cari, non è ammessa alcuna retorica, il Giubileo ci offrirà l’opportunità di riscoprire, con immensa gratitudine, il dono di questa nuova vita ricevuta nel Battesimo, capace di trasfigurare il dramma. È importante ripensare, nel contesto del Giubileo, a come questo mistero è stato compreso fin dai primi secoli della fede. Per molto tempo, ad esempio, i cristiani hanno costruito i loro fonti battesimali in forma ottagonale e ancora oggi possiamo ammirare molti antichi battisteri che conservano questa forma, come a Roma, a San Giovanni in Laterano. Questo indica che, nel fonte battesimale, si inaugura un ottavo giorno, il giorno della resurrezione, il giorno che supera il ritmo abituale scandito dalla scadenza settimanale, aprendo così il ciclo del tempo alla dimensione dell’eternità, alla vita che dura per sempre. Questa è la meta verso cui tendiamo nel nostro pellegrinaggio terreno (cfr. Rm 6,22).

La testimonianza più convincente di questa speranza è offerta dai martiri che, fermi nella loro fede in Cristo risorto, hanno saputo rinunciare alla loro vita qui sulla terra pur di non tradire il loro Signore. Questi confessori della vita senza fine sono presenti in ogni epoca e ce ne sono molti nella nostra, forse più che mai. Dobbiamo mantenere viva la loro testimonianza per far fruttare la nostra speranza.

Questi martiri di diverse tradizioni cristiane sono anche semi di unità, perché esprimono l’ecumenismo del sangue. Ecco perché spero ardentemente che durante il Giubileo ci sia una celebrazione ecumenica, in modo da mettere in evidenza la ricchezza della testimonianza di questi martiri.

Icona dei 21 martiri copti della Libia.

Si tratta di un gruppo di 21 cristiani, 20 egiziani – la maggior parte dei quali operai, sposati e padri di famiglia – e un ghanese – un musulmano che si è convertito a Cristo grazie all’impressionante testimonianza di fede di quelli che sarebbero diventati i suoi “compagni” di martirio – che sono stati giustiziati il 15 febbraio 2015 su una spiaggia di Sirte dai miliziani dello Stato Islamico in Libia.

21. Cosa ci succede dopo la morte? Con Gesù, oltre la soglia, c’è la vita eterna, che consiste nella piena comunione con Dio, nella contemplazione e nella partecipazione al suo amore infinito. Ciò che oggi sperimentiamo nella speranza, lo vedremo poi nella realtà. Sant’Agostino scriveva a questo proposito: “Quando sarò unito a te con tutto il mio essere, allora non ci sarà più dolore, non ci sarà più lavoro; la mia vita sarà completamente viva, essendo completamente piena di te”.[Confessioni,
X, 28.
Cosa caratterizzerà questa pienezza di comunione? La felicità. La felicità è la vocazione dell’essere umano, un obiettivo che riguarda tutti.

Ma cos’è la felicità? Che tipo di felicità ci aspettiamo e desideriamo? Non una gioia passeggera, una soddisfazione effimera che, una volta raggiunta, richiede sempre di più in una spirale di cupidigia in cui l’animo umano non è mai sazio ma sempre più vuoto. Abbiamo bisogno di una felicità che si realizzi definitivamente in ciò che ci appaga, cioè nell’amore, in modo da poter dire, in questo momento: Sono amato, quindi esisto; ed esisterò sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi. Ricordiamo ancora una volta le parole dell’apostolo: “Di questo sono certo: né la morte né la vita, né gli angeli né i principati del cielo, né le cose presenti né quelle future, né le potenze, né l’altezza, né la profondità, né alcun’altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.” (Rm 8:38-39).

22. Un’altra realtà legata alla vita eterna è il giudizio di Dio, sia alla fine della nostra esistenza che alla fine dei tempi. L’arte ha spesso cercato di rappresentarlo – basti pensare al capolavoro di Michelangelo nella Cappella Sistina – adottando la concezione teologica del tempo e trasmettendo un senso di paura allo spettatore. Se è giusto prepararsi con coscienza e serietà al momento che ricapitola la propria esistenza, allo stesso tempo dobbiamo sempre farlo nella dimensione della speranza, una virtù teologica che sostiene la vita e ci permette di non cedere alla paura. Il giudizio di Dio, che è amore (cfr. 1 Gv 4,8.16), non può che basarsi sull’amore, e in particolare sul modo in cui lo abbiamo praticato o meno nei confronti dei più bisognosi, nei quali è presente Cristo, il Giudice in persona (cfr. Mt 25,31-46). Si tratta quindi di un giudizio diverso da quello degli uomini e dei tribunali terreni. Deve essere inteso come un rapporto di verità con Dio-amore e con se stessi nel mistero insondabile della misericordia divina. La Sacra Scrittura afferma a questo proposito che: “Con il tuo esempio hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve essere umano; ai tuoi figli hai dato una bella speranza: dopo il peccato concedi la conversione […] e [nous comptons] la tua misericordia quando saremo giudicati”. ( Wis 12, 19.22). Come ha scritto Benedetto XVI: “Nel momento del giudizio, sperimentiamo e accogliamo il dominio del suo amore su tutto il male del mondo e di noi stessi. La sofferenza dell’amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia. [ Lett.
enc. Spe salvi, 47.
]

Il giudizio riguarda quindi la salvezza che speriamo e che Gesù ha ottenuto per noi attraverso la sua morte e resurrezione. Ha quindi lo scopo di aprirci all’incontro definitivo con Lui. E poiché, in questo contesto, non possiamo pensare che il male commesso rimanga nascosto, è necessario che venga purificato per permettere il passaggio definitivo nell’amore di Dio. In questo senso, comprendiamo la necessità di pregare per coloro che hanno completato il loro cammino terreno, la solidarietà nell’intercessione orante che trae la sua efficacia dalla comunione dei santi, dal legame comune che ci unisce in Cristo, il primogenito della creazione. In questo modo, l’indulgenza giubilare, in virtù della preghiera, è destinata in modo speciale a coloro che ci hanno preceduto, affinché ottengano piena misericordia.

23. L’indulgenza ci permette di scoprire fino a che punto la misericordia di Dio è illimitata. Non è un caso che, nell’antichità, il termine “misericordia” fosse usato in modo intercambiabile con il termine “indulgenza”, proprio perché quest’ultimo intendeva esprimere la pienezza del perdono di Dio, che non conosce limiti.

Il sacramento della Penitenza ci assicura che Dio perdona i nostri peccati. Le parole del salmo ritornano con la loro forza consolante: “Egli perdona tutti i tuoi peccati e ti guarisce da ogni malattia; reclama la tua vita dalla tomba e ti incorona di amore e di tenerezza; […] il Signore è tenero e misericordioso, lento all’ira e pieno di amore; […] non agisce verso di noi secondo le nostre colpe, né ci ripaga secondo i nostri peccati. Come il cielo domina la terra, così forte è il suo amore per coloro che lo temono; come l’oriente è lontano dall’occidente, egli allontana da noi i nostri peccati” (Sal 103:3-4, 8, 10-12). La Riconciliazione sacramentale non è solo una meravigliosa opportunità spirituale, ma anche un passo decisivo, essenziale e indispensabile nel cammino di fede di ogni persona. È qui che permettiamo al Signore di distruggere i nostri peccati, di guarire i nostri cuori, di sollevarci e abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole. Infatti, non c’è modo migliore di conoscere Dio che lasciarsi riconciliare con lui (cfr. 2 Cor 5:20), assaporando il suo perdono. Quindi non rinunciamo alla Confessione, ma riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la bellezza del perdono dei peccati!

Tuttavia, come sappiamo per esperienza personale, il peccato “lascia tracce”, porta a conseguenze: non solo esterne, in quanto sono le conseguenze del male commesso, ma anche interne, in quanto “ogni peccato, anche veniale, porta a un attaccamento malsano alle creature, che deve essere purificato o quaggiù o dopo la morte nello stato noto come purgatorio”. [Catechismo
della Chiesa Cattolica, n. 1472.
…] Nella nostra debole umanità, quindi, che è attratta dal male, rimangono “effetti residui del peccato”. Questi vengono eliminati con l’indulgenza, sempre attraverso la grazia di Cristo, che è, come scrisse San Paolo VI, “la grazia di Dio”, “la nostra indulgenza. [ Lett. ap. Apostolorum limina, 23 maggio 1974, II. ] La Penitenzieria Apostolica pubblicherà le disposizioni per ottenere e rendere effettiva la pratica dell’Indulgenza Giubilare.

Questa esperienza di perdono può solo aprire il cuore e la mente al perdono. Il perdono non cambia il passato e non può cambiare ciò che è già accaduto. Ma il perdono ci permette di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza risentimento o vendetta. Un futuro illuminato dal perdono ci permette di leggere il passato con occhi diversi e più tranquilli, anche se ancora offuscati dalle lacrime.

Durante l’ultimo Giubileo straordinario ho istituito i Missionari della Misericordia, che continuano a svolgere un’importante missione. Che possano esercitare il loro ministero anche durante il prossimo Giubileo, ridando speranza e perdonando ogni volta che un peccatore si rivolge a loro con il cuore aperto e l’anima pentita. Possano continuare a essere strumenti di riconciliazione e aiutarci a guardare al futuro con la speranza del cuore che viene dalla misericordia del Padre. Spero che i vescovi sappiano approfittare del loro prezioso servizio, in particolare inviandoli nei luoghi in cui la speranza è messa a dura prova, come le carceri, gli ospedali e i luoghi in cui la dignità della persona è violata, nelle situazioni più disagiate e nei contesti di maggiore sofferenza, affinché nessuno sia privato della possibilità di accogliere il perdono e la consolazione di Dio.

24. La speranza trova la sua più grande testimonianza nella Madre di Dio. In lei vediamo che la speranza non è un vano ottimismo, ma un dono di grazia nel realismo della vita. Come ogni madre, ogni volta che guardava suo Figlio, pensava al suo futuro e le parole che Simeone le aveva rivolto nel tempio rimasero certamente impresse nel suo cuore: “Ecco, questo bambino causerà la caduta e l’ascesa di molti in Israele. Egli sarà un segno di contraddizione e la tua anima sarà trafitta da una spada”. (Lc 2:34-35). E ai piedi della croce, mentre vedeva l’innocente Gesù soffrire e morire, pur essendo sopraffatta da un’immensa sofferenza, ripeté il suo “sì”, senza perdere la speranza o la fiducia nel Signore. In questo modo, collaborò per noi al compimento di ciò che suo Figlio aveva detto, annunciando “che il Figlio dell’uomo deve soffrire molte cose, che deve essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, che deve essere ucciso e che tre giorni dopo deve risorgere”. (Mc 8, 31). E nel tormento di questo dolore offerto per amore, divenne nostra Madre, la Madre della speranza. Non è un caso che la pietà popolare continui a invocare la Beata Vergine come Stella Maris, un titolo che esprime la sicura speranza che, nelle tempestose vicissitudini della vita, la Madre di Dio venga in nostro aiuto, ci sostenga e ci inviti ad avere fiducia e a continuare a sperare.

A questo proposito, vorrei ricordarti che il Santuario di Nostra Signora di Guadalupe a Città del Messico si prepara a celebrare, nel 2031, il 500° anniversario della prima apparizione della Vergine Maria. Attraverso il giovane Juan Diego, la Madre di Dio inviò un rivoluzionario messaggio di speranza che ancora oggi ripete a tutti i pellegrini e ai fedeli: “Non sono forse qui, io che sono tua madre? [Un messaggio simile è impresso nel cuore di molti santuari mariani in tutto il mondo, meta di innumerevoli pellegrini che affidano alla Madre di Dio le loro preoccupazioni, i loro dolori e le loro speranze. In questo Anno Giubilare, i santuari devono essere luoghi sacri di accoglienza e spazi privilegiati per alimentare la speranza. Invito i pellegrini che vengono a Roma a fermarsi a pregare nei santuari mariani della città, per venerare la Vergine Maria e invocare la sua protezione. Sono certo che tutti, soprattutto coloro che soffrono e sono afflitti, potranno sperimentare la vicinanza della più affettuosa delle madri, che non abbandona mai i suoi figli e che è per il santo Popolo di Dio “un segno di sicura speranza e consolazione”.. [Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 68].

25. Nel cammino verso il Giubileo, torniamo alla Sacra Scrittura e ascoltiamo queste parole rivolte a noi: “Questo è un grande incoraggiamento per noi che abbiamo cercato rifugio nella speranza che ci è stata offerta e che abbiamo afferrato. Questa speranza la teniamo come un’ancora sicura e salda per l’anima; essa entra oltre la cortina, nel Santuario dove Gesù è entrato per noi come precursore”. (Eb 6:18-20). Questo è un forte invito a non perdere mai la speranza che ci è stata data, ad aggrapparci ad essa trovando rifugio in Dio.

L’immagine dell’ancora evoca la stabilità e la sicurezza che abbiamo in mezzo alle acque tempestose della vita se confidiamo nel Signore Gesù. Le tempeste non potranno mai spazzarci via perché siamo ancorati alla speranza della grazia, che è in grado di farci vivere in Cristo, trionfando sul peccato, sulla paura e sulla morte. Questa speranza, che è molto più grande delle soddisfazioni quotidiane e del miglioramento delle condizioni di vita, ci porta oltre le prove e ci spinge a camminare senza perdere di vista la grandezza della meta a cui siamo chiamati, il Paradiso.

Il prossimo Giubileo sarà quindi un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non passa, la speranza che è in Dio. Che ci aiuti anche a riscoprire la fiducia di cui abbiamo bisogno nella Chiesa e nella società, nei rapporti interpersonali, nelle relazioni internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. Che la nostra testimonianza di fede sia nel mondo un lievito di autentica speranza, un annuncio dei nuovi cieli e della nuova terra (cfr. 2 Pt 3,13) dove abiteremo nella giustizia e nell’armonia tra i popoli, tendendo al compimento della promessa del Signore.

Lasciamoci coinvolgere dalla speranza oggi e facciamo in modo che diventi contagiosa attraverso di noi, per coloro che la desiderano. Che la nostra vita dica loro: “Spera nel Signore, sii forte e prendi coraggio; spera nel Signore”. (Sal 27:14). Che la forza della speranza riempia il nostro presente, nella fiduciosa attesa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale sia lode e gloria, ora e sempre.

Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 9 maggio, Solennità dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, dell’anno 2024, dodicesimo di Pontificato.

François